1. INTERVISTA SU L'ORA DI PALERMO DEL 1° MARZO 2015
    Ismaele La Vardera intervista il prof. Vincenzo Musacchio

    By antimafia il 1 Mar. 2015
     
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    Vincenzo Musacchio, è il fondatore ed il direttore della Scuola di Legalità “don Peppe Diana”, docente di diritto penale presso l’Istituto di Studi per la Formazione (CONFSA) di Roma, ha insegnato la medesima disciplina in varie Università italiane da ultimo presso l'Alta Scuola di Formazione della Presidenza del Consiglio in Roma.

    Prof. Musacchio quando nasce la passione per la giustizia e la legalità?

    Ero molto giovane, frequentavo il liceo in Molise e andai ad ascoltare un giudice all'epoca quasi sconosciuto: Paolo Borsellino. Le sue parole cambiarono la mia vita. Ricordo come fosse oggi il suo discorso sull'impegno dei giovani nella lotta all'illegalità ed alla mafia. Mi colpi particolarmente una frase, poi divenuta celebre: “se la gioventù le negherà il consenso, anche l'onnipotente e misteriosa mafia svanirà come un incubo”. Da lì nasce il mio impegno incessante tra la gente, in mezzo agli studenti e in tutte le Università dove ho avuto l'opportunità di insegnare.

    Quali sono secondo lei i deficit dell'Italia che minano seriamente i sacrifici di Falcone e Borsellino?

    Io spero che questi anni non siano stati inutili, né tanto meno sia stato vano il sacrificio di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino. Sono e devono restare una speranza per tanti, soprattutto giovani, che vedono un futuro libero da crimine organizzato e corruzione. Devono essere l'esempio dell'Italia “sana”. In questi 25 anni ho imparato come non si possa pretendere che lo Stato intervenga in tutto e per tutto. Siamo noi a dover onorare la loro memoria non tanto con ricordi e fiaccolate ma con azioni concrete e decise. I deficit purtroppo non sono pochi. Molti di natura giuridica e processuale. Voglio tuttavia soffermarmi ancora una volta sul mezzo che li annullerebbe quasi tutti: un esercito di giovani educati alla legalità.

    Oggi che attività svolge la Scuola di legalità “don Peppe Diana” e come potrebbe descrivere quest'ultimo progetto?

    E' uno strumento operativo. Io lo paragono ad una grande folata di vento fresco in un'afosa giornata estiva. La Scuola di Legalità intitolata a Don Peppe Diana è un progetto molto ambizioso, abbiamo referenti in tutta Italia ed alcuni anche all'estero. Si rivolge alla gente ed in particolar modo agli studenti. L'obiettivo primario è la promozione della legalità nelle scuole. Penso che la legalità debba essere costruita attraverso punti di riferimento concreti, quindi, ciascuno deve dare il proprio contributo. Il mio impegno è informare i giovani riguardo l'importanza del rispetto delle regole e del peggior male dell'Italia: la corruzione. Sono convinto che l'informazione significhi cultura e solo chi conosce può compiere scelte libere e consapevoli.

    Dopo la relazione annuale del procuratore nazionale antimafia Roberti cosa pensa dell'evoluzione della mafia oggi?

    La criminalità organizzata ha avuto metamorfosi molto rilevanti. Ha abbandonato la via delle stragi e della lotta armata e, mentre le indagini si concentravano sul traffico di droga e su altri reati più visibili, si è preparata e si è insediata lentamente ma inesorabilmente nei gangli vitali della politica utilizzando un nuovo metodo molto efficace: la corruzione! Le mafie hanno cambiato pelle ed è bene prenderne coscienza. Prima c’erano gli omicidi, l’intimidazione e l’omertà, il business della droga e il pizzo, oggi l’infiltrazione è negli appalti, nei subappalti e nei grandi flussi di denaro pubblico, attuata da affiliati o imprenditori “puliti”. Le mafie non sono più un fenomeno settoriale ma si sono radicate ovunque in Italia. Le recenti inchieste antimafia in Lazio, Lombardia, Veneto ed in Emilia Romagna dimostrano il mio assunto. Mentre negli anni passati la società civile si contrapponeva a questi fenomeni, oggi sembra assuefatta ed inerme, in alcuni casi, quasi complice. In passato era il mafioso che si rivolgeva al politico, oggi è il politico che chiede favori al mafioso. E questa situazione deve preoccuparci e non poco!

    Oggi pubblichiamo in esclusiva la lettera inviatale da Falcone, come mai l'ha tenuta segreta per tanto tempo?

    L'ho tenuta in uno scrigno dal 21 febbraio 1992, nessuno ne conosceva l'esistenza, neanche la mia famiglia. Poi ho deciso di leggerla esattamente 23 anni dopo agli studenti del liceo Romita di Campobasso in presenza di Pino Arlacchi, amico e collaboratore stretto di Falcone e Borsellino. C'è stata una grandissima commozione in sala ed ho capito che era ingiusto tenerla solo per me, per cui, oggi le daremo nuova linfa vitale nella sua terra d'origine. Soprattutto al suo messaggio finale che, se fosse vivo Falcone, sarebbe ancora una volta rivolto a tutti i giovani come ero io all'epoca.

    A che punto è l'antimafia? Esiste una mafia dell'antimafia? Cosa pensa dei professionisti dell'antimafia, già conosciuti da Sciascia?

    A volte il modo migliore per fare carriera in politica e in magistratura, ma non solo, è dichiararsi contro la mafia, usare l'antimafia come strumento di potere, come mezzo per diventare potenti ed intoccabili e perché no, migliorare anche la propria posizione economica. Ricordo molto bene che all'epoca tra gli esempi di professionisti dell'antimafia Sciascia citò proprio Paolo Borsellino, che qualche mese prima era diventato capo della Procura di Marsala al posto di un collega più anziano di età. Citare Borsellino a mio giudizio fu un errore. Il dubbio che il magistrato avesse fatto carriera grazie alla lotta alla mafia è stato sfruttato abilmente dai nemici del pool che ricordo non erano pochi. Credo che la “vera antimafia” passi attraverso un maggior impegno da parte di tutti noi, svolgendo semplicemente il nostro dovere. Ricordiamoci sempre che laddove vi siano ingenti quantità di denaro, la presenza delle mafie e della corruzione è una certezza. Sul piano giudiziario, per una efficace lotta al crimine organizzato occorrono riforme maggiormente incisive con inchieste efficaci e condanne effettive. La politica (quella vera) e i partiti (quelli veri) debbono decontaminare se stessi e il mondo dell’impresa deve recidere ogni legame con la criminalità organizzata. Solo così forse vi è una flebile speranza di frenare l’ascesa delle nuove mafie meno crudeli ma molto più letali.

    ISMAELE LA VARDERA

    Giornalista de “L'Ora” di Palermo



    (*) Articolo pubblicato nel Quotidiano L'ORA di Palermo il 1 marzo 2015
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